SORPASSO

T R I B U N A L E D I
F E R M O

SENTENZA
(art.544 e segg. c.p.p.)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI FERMO - SEZ. PENALE IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA IN PERSONA DEL GIUDICE

DR. GIUSEPPE LUIGI FANULI

Alla pubblica udienza del 27/3/2001 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

SENTENZA

Nei confronti di:
XXXXXX n. a XXXXX, res. ................

LIBERO PRESENTE-

Avv. Francesca Palma del Foro di Fermo, di fiducia

IMPUTATO

Del delitto p. e p. dall’ 589 c. p. in relazione all’art. 142 C.d.S. perché, mentre percorreva la S.P. 27 Monturanese con direzione di marcia S.Elpidio a Mare-Monte Urano all’altezza del numero civico 157, a bordo dell’autovettura Mercedes Classe A tg. .........., per imprudenza consistita nel superare il limite di velocità di 50 km/h ed in particolare nel circolare a 130 km/h, mentre aveva messo in atto manovra di sorpasso dell’autovettura Fiat Marea, condotta da ........... che lo precedeva, manovra non consentita in quel tratto di strada, entrava in collisione con la parte frontale della propria autovettura con la Fiat 500 tg. .......... che precedeva la Fiat Marea nella stessa direzione di marcia, condotta da YYYYYY, intento a completare la propria regolare manovra di svolta a sinistra, previa indicazione con il relativo indicatore di direzione, per immettersi nel cortile della propria abitazione e che quindi gli si poneva trasversalmente rispetto alla sua traiettoria. A seguito dell’impatto il veicolo Fiat 500 veniva trascinato per circa 30-31 metri dal punto d’urto ed il conducente YYYYYY ne riportava lesioni personali varie consistite in trauma cranico, frattura-lussazione delle vertebre cervicali, emorragia interna, trauma toracico con lesione di organi interni, arresto cardiocircolatorio e respiratorio che ne causavano il decesso.
In Sant’Elpidio a Mare il 4/1/2000

con la partecipazione della Parte Civile .............
Avv. Sabina Bidolli

CONCLUSIONI

Il Pubblico Ministero così ha concluso: “Accertamento della penale responsabilità, pena base che riteniamo equo individuare in due anni di reclusione, attenuanti generiche per il concorso di colpa della vittima, quindi pena ad anni uno e mesi quattro di reclusione. Sospensione della patente di guida nel periodo massimo disposto dalla legge, dall’art. 222 Codice della strada, quindi per un anno, se non è già stata disposta in sede amministrativa”

La Parte Civile ha concluso come da separato foglio di conclusioni, depositate unitamente alla nota spese

La Difesa ha concluso per l’accoglimento delle istanze istruttorie avanzate ex art. 507 c.p.p. e, nel merito, per l’assoluzione dell’imputato.

FATTO E DIRITTO

Con decreto in data 27/10/2000 il G.U.P. in sede disponeva il rinvio al giudizio di questo Tribunale di XXXXXX, per rispondere del reato segnato in rubrica.

Nel corso dell’istruttoria dibattimentale venivano escussi i testi d’accusa M.llo ......., ........., ......... e i consulenti del P.M. dr. Nastasi Antonino e p.i. Ciuti Walter. Si procedeva, quindi, all’esame dell’imputato e all’escussione dei testi ......, ....... e ......., indicati dalla Difesa e del consulente tecnico della Difesa, ing. Guido Monelli.

All’esito dell’istruttoria dibattimentale P.M. e Difensore della Parte Civile e Difensore dell’imputato formulavano le rispettive conclusioni, come sopra riportate.

E’ noto che gli sviluppi del dibattito, dottrinario e giurisprudenziale, relativo al procedimento di valutazione del materiale probatorio, abbiano ormai condotto all’abbandono del cd. dogma della certezza, in favore di una più realistica prospettiva secondo la quale il giudice procede attraverso i canoni della logica abduttiva, strutturalmente inidonei a produrre certezza ma capaci, se correttamente utilizzati, di individuare la cd. “ipotesi preferibile”, vale a dire quella che, secondo logica, più di ogni altra consente l’ingresso nel processo di una riproduzione del fatto storico il più possibile conforme al fatto medesimo siccome realmente verificatosi (significativi riscontri normativi di tale assunto sono gli artt. 2727 e 2729 c.c. e l'art. 192 c.p.p.).

Passiamo, sulla base dell’anzidetta premessa metodologica, ad esaminare i fatti oggetto del presente giudizio si rileva che, nella specie, si contrappongono l’ipotesi accusatoria, consacrata nel capo d’imputazione e quella difensiva, fondata sulla c.d. difesa materiale dell’imputato e sostenuta dalla consulenza tecnica di parte.

In realtà, come si dirà, la “contrapposizione” è più apparente che reale, in quanto verte esclusivamente sulla ricostruzione del fatto storico: ma, anche ammettendo che i fatti si siano verificati come sostenuto dalla Difesa ciò non varrebbe ad escludere, né a ridimensionare in modo rilevante, la macroscopica responsabilità dell’imputato in merito al reato ascrittogli.
L’accoglimento dell’ipotesi alternativa sostenuta dalla Difesa, in sostanza, potrebbe valere solo a limitare – in misura peraltro minima - l’entità del risarcimento dei danni a cui l’imputato (o, meglio, la sua compagnia di assicurazioni r.c.a.) è tenuto nei confronti dei superstiti.
Non si comprendono pertanto le richieste istruttorie avanzate dalla Difesa e reiterate in sede di conclusioni.
La prova per testi mirerebbe a verificare l’attendibilità del teste ........ le cui dichiarazioni non hanno fatto che confermare il già chiaro quadro d’accusa e che, pertanto, finiscono per essere persino ininfluenti.
La perizia richiesta dovrebbe “sanare” – a distanza di molto tempo dal fatto - le contraddizioni tra le ricordate consulenze di parte: contraddizioni, peraltro, di scarso rilievo ai fini del decidere.

Ciò premesso si ritiene che l’ipotesi accusatoria abbia trovato piena conferma dalle emergenze processuali.

Il consulente tecnico dr. Nastasi, che ebbe ad effettuare i rilievi sul cadavere del YYYYY, ha confermato le risultanze della ricognizione cadaverica, con la descrizione delle gravi lesioni riportate dalla vittima, individuate come causa del decesso della stessa.

Il teste M.llo ........ ha confermato i rilievi fotografici e planimetrici effettuati nell’immediatezza del sinistro, evidenziando che sulla strada in questione vige il limite di velocità di 50 km/h e che si poteva svoltare a sinistra tranquillamente. Lo stesso teste ha riferito che, secondo la ricostruzione operata sulla base dei rilievi effettuati l’imputato – contravvenzionato per eccesso di velocità - proprio a causa della velocità eccessiva, alla guida della Mercedes di cui all’imputazione, era andato ad urtare violentemente contro la Fiat 500 della vittima, mentre questa stava operando la manovra di svolta a sinistra per accedere al piazzale antistante la propria abitazione, lasciando sull’asfalto tracce di frenata della lunghezza di quasi 30 metri.

Il teste ............ – agente di polizia municipale - ha riferito che il giorno del fatto, mentre si trovava nella propria abitazione aveva udito un forte rumore si era affacciato al balcone ed aveva visto il quadro del sinistro. Sceso in strada, dopo aver prestato soccorso al YYYYY, aveva scattato delle foto su richiesta del figlio della vittima ed in presenza dell’imputato, alle autovetture e alla carreggiata. Foto che lo stesso teste ha riconosciuto tra quelle allegate dal consulente p.i. Ciuti alla relazione tecnica.

Il teste ........... ha riferito di essere stato testimone diretto dell’incidente. In particolare, il giorno del fatto, stava percorrendo la carreggiata di cui trattasi, dietro alla vettura condotta dalla vittima, in un tratto in discesa. Ad un certo punto aveva visto che la macchina che lo precedeva aveva iniziato la manovra di svolta a sinistra e si era spostato sulla destra. In quel momento vi era un sole contrario che “dava molto fastidio”. Al momento dell’urto si trovava ancora dietro l’anzidetta autovettura ed aveva visto il “trascinamento” dei due veicoli coinvolti sulla propria sinistra, quindi era passato a destra transitando con mezza macchina fuori dell’asfalto. Poi aveva fermato la macchina e si era portato sul luogo del sinistro, aveva constatato che per il YYYYY non c’era più niente da fare e si era allontanato.
La deposizione del ............ va valutata con attenzione – anche se, come detto, non incide più di tanto ai fini dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato - tenuto conto del fatto che lo stesso ....... non risultava presente (come, del resto, non risultavano neanche presenti i testi indicati dalla Difesa) al momento del sopralluogo dei Carabinieri. Lo stesso ........, con un certo imbarazzo, ha riferito di essersi defilato, per evitare “noie” e che era stato poi rintracciato dal M.llo dei Carabinieri di Monte Urano, che era venuto indirettamente a conoscenza della sua presenza in occasione del sinistro.
Orbene, il fatto che il teste non possa essere indicato come esempio di solidarietà e senso civico, non autorizza a ritenere che lo stesso abbia reso dichiarazioni false.

In realtà, lo stesso teste ........... – della cui attendibilità non si ha alcun motivo di dubitare - ha riferito che in prossimità delle auto coinvolte nel sinistro vi erano altre autovetture e di non poter escludere che ci fosse la vettura del .............
Ma le dichiarazioni del ........... sono pienamente in sintonia con la ricostruzione del sinistro operato dai Carabinieri subito dopo il fatto e con le foto scattate dal ............ sull’autovettura della vittima, che, dopo il sinistro, mostrava il segnalatore di svolta a sinistra acceso. Non solo, il ............ ha spontaneamente riferito una circostanza, apparentemente secondaria, confermata dallo stesso imputato, circa la presenza di luce solare diretta che ostacolava la guida nella direzione di marcia dei protagonisti del sinistro.
A ciò va aggiunto che il teste ha riferito una circostanza per lui “ad alto rischio” e cioè di aver visto nell’occasione il padre dell’imputato: circostanza, questa, che un teste-non teste non avrebbe mai riferito, stante la facile possibilità di “falsificazione”.
A ciò va aggiunto che non è emerso, neanche a livello di mera asserzione delle parti, alcun motivo che avrebbe dovuto indurre il ........... – che non conosceva prima dei fatti né l’imputato né la vittima - a rendere una falsa deposizione.
La deposizione del Monaldi, che ha riferito di essersi portato sulla destra ed essere uscito con mezza macchina dalla carreggiata sembra spiegare la presenza di tracce di polvere o terriccio sulla carreggiata medesima, su cui la Difesa molto ha insistito.

Il materiale probatorio sopra indicato - ed in particolare i rilievi fotografici e planimetrici – è stato elaborato dal consulente tecnico p.i. Ciuti che ha svolto un’analisi completa e dettagliata, alle cui risultanze questo Giudice ritiene di conformarsi.
Ebbene, il p.i. Ciuti, dopo aver motivatamente – e con adeguato supporto fotografico e planimetrico - descritto il fatto infortunistico, il campo del sinistro, i rilievi sul piano viabile e quelli sui mezzi coinvolti, ha valutato – anche sulla scorta delle tabelle di calcolo universalmente applicate - l’aspetto dinamico e cinematico dell’incidente e lo ha ricostruito sin dei dettagli, pervenendo alle seguenti, perentorie, conclusioni: “l’evidenza dei contenuti dinamici e dei fatti sopra ricostruiti e rappresentati nella planimetria allegata portano all’assoluta conclusione, nella confermata efficienza meccanica dei veicoli, che la sostenuta velocità e la scorretta tenuta di guida tenuta dal conducente dell’atv. “Mercedes A 140”, tg. BD 644 SJ, sig. XXXXX, è stata la causa primaria dell’incidente stradale in oggetto”.
In particolare la causa del sinistro è stata correttamente individuata nella situazione di fatto scaturita dalla combinazione dinamica e cinematica tra:
a) la velocità elevata, pari a circa 135 km./h, superiore ai limiti di legge consentiti di 50 km./h (in patente violazione dell’art. 142 cod.strad.) e assolutamente non prudenziale in considerazione, tra l’altro, della luce solare avversa, dell’esistenza di abitati, della pendenza della strada, tenuta dall’imputato;
b) dalla condotta di guida negligente ed imperita dello stesso imputato che nel percorrere in uscita della prima curva destrorsa una traiettoria di marcia totalmente in contromano nella corsia opposta (quella verso S.Elpidio a Mare) per poi affrontarne, tagliandola nel suo interno, subito un’ altra con verso sinistrorso, nell’ intento di superare i due veicoli che lo precedevano nella stessa direzione di marcia verso Monte Urano, senza avvedersi della già attivata segnalazione di svolta a sinistra posta in essere dal primo dei due autoveicoli che lo precedeva nella regolare corsia di pertinenza (quello condotta dalla vittima) entrava, nello spazio temporale di circa 1,54 secondi dalla percezione del pericolo, in violenta collisione con la fiancata sinistra della Fiat 500 condotta dalla vittima che, in quel frangente, era ancora intenta a completare la sua regolare manovra di svolta a sinistra con l’indicatore di direzione attivato e nella interruzione “tratteggio”, della linea continua di mezzeria della carreggiata, gli si poneva trasversalmente alla sua traiettoria al centro di detta opposta corsia, “trascinando” detta autovettura per oltre 30 metri e cagionando la morte del conducente (in patente violazione degli artt. 40 co. 3 e 8; 141 co. 1, 2, 3; 142 co. 1 148 co. 2 e 10 Cod. Strad.).

Le concordanti risultanze probatorie inducono a ritenere che il fatto si sia verificato così come descritto nel capo d’imputazione.

Ma, anche a voler ritenere, in mera ipotesi, che i fatti si siano svolti come sostenuto dalla Difesa, dovrebbe pervenirsi alle identiche conclusioni, in tema di responsabilità dell’imputato.
L’ipotesi è quella fatta propria dal consulente di parte ing. Monelli secondo cui “il YYYY percorrendo la S.P. Monturanese con direzione monti giunto in prossimità della propria abitazione contraddistinta dal civico n. ..., nell’intenzione di parcheggiare la atv. negli spazi sottostrada, per inserirsi nel passo carrabile e quindi immettersi nella strada privata che conduce a tali posteggi, vista la angustia degli spazi a disposizione, al fine di eseguire una sola manovra, in un primo momento si accostava alla propria destra, successivamente svoltando a sinistra tentava l’attraversamento della S.P. suddetta proprio nel momento in cui la Mercedes condotta dal XXXXX ad alta velocità ed in piena fase di sorpasso, stava superando sia una Fiat Marea che la stessa “500” che la precedeva. L’urto tra la parte anteriore della Mercedes e la fiancata laterale sinistra della “500” si rendeva inevitabile e le due atv proseguivano accoppiate per circa 28 metri per poi fermarsi a poca distanza l’una dall’altra”.
Lo stesso ing. Monelli ha quantificato la velocità tenuta dall’imputato in 100 km/h al momento dell’urto (quindi, senza tener conto della velocità tenuta prima dell’azione frenante).
L’imputato medesimo ha candidamente ammesso di aver viaggiato alla velocità di “un centinaio, 90. E’ in discesa, la strada era libera, era nel pomeriggio, stavo lavorando”.
Va ribadito che tale ricostruzione non appare plausibile, alla luce di quanto argomentato in relazione alle prove d’accusa.
Del resto, lo stesso ing. Monelli, con onestà intellettuale, anche in sede dibattimentale ha ammesso che tale ricostruzione era una delle ipotesi possibili da lui stesso ritenuta la più probabile. Peraltro, la relazione del consulente della Difesa appare (rispetto a quella del p.i. Ciuti) più assertiva che dimostrativa.
A ciò vanno aggiunte le contraddizioni in cui è caduto l’imputato in sede di esame dibattimentale.
Il XXXXX dapprima ha riferito: “stavo viaggiando sulla via Elpidiense, direzione Sant’Elpidio-Monte Urano, arrivato ad una semicurva ho visto una 500 bianca al di fuori della sede stradale, stava ferma, io dico che stava ferma, secondo me stava fermo. Vedendo che stava ferma ho proseguito…arrivato sotto.. 5 o dieci metri prima della Cinquecento, mi ha spostato sulla destra verso sinistra. Io istintivamente ho cercato di schivarla andando a sinistra, neanche ho fatto in tempo a frenare, cioè è stato più l’istinto a schivare a sinistra, aspettando che mi vedesse, si fermasse..invece non mi ha visto per niente, sono arrivato lì, l’ho preso in pieno sulla fiancata e l’ho trascinato”. Così facendo intendere di aver preso contezza del “movimento” della vittima proprio mentre gli era giunto a ridosso.
Poi ha chiarito che la macchina era ripartita senza azionare la freccia, aveva fatto come una manovra di inversione ad U e che “doveva entrare nell’imbocco lì sotto casa. Nel piazzale c’erano parcheggiate delle macchine, c’erano dei vasi perciò non poteva neanche parcheggiare.. la manovra che ha fatto era per entrare.. dove sta il laboratorio, la fabbrica”: il che, farebbe, invece, desumere che l’imputato riuscì ad individuare chiaramente la manovra che intendeva fare il XXXXX.
Ma, anche dando per buone le dichiarazioni dell’imputato e le altre prove a discarico, appare francamente assurdo che si possa sostenere la mancanza di responsabilità dell’imputato.
Quest’ultimo, secondo quanto sostenuto dal suo stesso consulente di parte, avrebbe viaggiato a velocità più che doppia rispetto al limite massimo ivi consentito, avrebbe posto in essere una manovra di sorpasso assolutamente vietata, avrebbe violato i disposti dei ricordati artt. 142, 141, 148 e 40 cod. strad. e ciò non sarebbe sufficiente a ritenerlo responsabile del reato per cui si procede ?
Né potrebbe valorizzarsi la asserita – e indimostrata - imprudenza della vittima, ai fini di escludere la responsabilità dell’imputato.
E’ pacifico, infatti, che, “poiché le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per far fronte a situazioni di pericolo, anche quando siano determinate da altrui comportamenti irresponsabili, la fiducia di un conducente nel fatto che altri si attengano alle prescrizioni del legislatore, se mal riposta, costituisce di per sé condotta negligente” (cfr., ex plurimis, CASS. 28/3/1996, Lado).
Non si ritiene di spendere ulteriori argomentazioni al riguardo, laddove, come detto la macroscopica negligenza ed imprudenza dell’imputato emergono, in modo di per sé sufficiente, dalla dichiarazioni dell’imputato stesso.

Né si vuol credere che la Difesa abbia chiesto l’assoluzione dell’imputato solo perché il fatto sarebbe – a suo esclusivo avviso - avvenuto in modo storicamente diverso da come contestato nell’imputazione.

Tale tesi si esporrebbe ad evidenti obiezioni:
- anzitutto, ove si dovesse effettivamente rilevare la diversità tra fatto contestato e quello emerso in dibattimento, la conclusione, imposta dall’art. 521 co. 2 c.p.p., non sarebbe certamente quella dell’assoluzione dell’imputato, bensì quella della trasmissione degli atti al Pubblico Ministero:
- inoltre, nel caso in esame, anche se fosse – sempre mantenendosi nel campo delle ipotesi destituite di concreto fondamento - emersa una realtà fattuale conforme a quanto affermato dall’imputato in sede di esame e, precedentemente, in sede di interrogatorio non si verserebbe in ipotesi di fatto diverso.

La problematica da ultimo cennata merita un approfondimento.

Sotto il vigore del codice di procedura penale del 1988 si è ritenuto che il principio della correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza trae il suo fondamento, anche nella nuova disciplina dettata dagli artt. 521 e 522 c.p.p., dall’esigenza di tutelare in concreto il diritto di difesa, impedendo che l’imputato possa essere condannato per un fatto non contestato ed in ordine al quale non abbia potuto difendersi (cfr., tra le altre: Cass. sez. III, 3 aprile 1992, Nesti ed altri, in C.E.D. Cass. n. 189798; Cass. sez. III, 15/6/1998, n. 9620, Ricci, in C.E.D. Cass. n.211214; Cass. sez. VI, 8/6/1998, n. 6753, Finocchi ed altri, in C.E.D. Cass. n. 211003).

Tale principio è stato più volte oggetto di puntualizzazioni e specificazioni da parte della Corte, di cui si richiamano le più significative:
- a fondamento del principio posto dall’art. 521 c.p.p. sta l’esigenza di assicurare all’imputato la piena possibilità di difendersi in rapporto a tutte le circostanze rilevanti del fatto che è oggetto dell’accusa. Ne discende che il principio in parola non è violato ogni qualvolta siffatta possibilità non risulti sminuita perché la divergenza tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza non incide su tratti essenziali del fatto stesso, oppure perché l’imputato anche attraverso il suo stesso interrogatorio, è stato messo in condizione di difendersi anche in relazione al fatto diverso da quello descritto nella imputazione (Cass. sez. I, 26/5/1993, Ceraso, in C.E.D. Cass. n. 194219; Cass. sez. V 28/7/1992, Chirico, in C.E.D. Cass. n.191485; Cass. sez. I, 8/10/1992, Raciti, in C.E.D. Cass. n. 191871). Ne consegue, altresì, che va negata la configurazione della violazione del detto principio ogni qualvolta l’imputato abbia, comunque, avuto conoscenza del fatto ritenuto in sentenza, intendendosi per fatto conosciuto non solo quello enunciato nell’atto di rinvio a giudizio, ma anche quello che sia stato consacrato in ogni diverso tipo di atto processuale, o che sia stato ammesso oppure prospettato dallo stesso imputato (Cass. sez. VI, 18/5/1995, Sica, in C.E.D. Cass. 201673): il che sarebbe proprio l’ipotesi in esame;
- Con riferimento al principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (CASS. S.U. 22/10/1996 n. 16, Di Francesco, in C.E.D. Cass. n. 205619; Cass. sez. I, 26/11/1996, Albano, in C.E.D. Cass. n. 206092; Cass. sez. I, 25/6/1997, Sgranfetto, in C.E.D. Cass. n. 207934).

Come è evidente, dalla nozione innanzi esposta e ricavata dalla giurisprudenza, si giunge a quella di fatto contestato che deve intendersi non solo quello indicato nel capo d’imputazione, ma anche quello risultante da tutto il complesso di elementi portati a conoscenza dell’imputato e sui quali esso è stato posto in condizioni di difendersi (cfr. Cass. sez. V, 9/12/1987; Cass. sez. III, 13/11/1992 n. 10948; Cass. sez. 1, 27/10/1995, Guarneri ed altri, in C.E.D. Cass. n. 202535; sez. 1, 12/9/1995, Zara; sez. 1, 12/9/1995, Gannone ).

Nel caso di specie, come detto il fatto diverso sarebbe stato prospettato proprio dallo stesso imputato.
Ma vi è di più: è pacifico che per immutazione del fatto deve intendersi solo quella che modifica la struttura della contestazione, in quanto sostituisce radicalmente il fatto tipico, il nesso di causalità e l’elemento psicologico: il che non si verifica quando –come nel caso di specie, se ne modificano solo nei dettagli le modalità di realizzazione (cfr., ex plurimis, CASS. sez. I, sent. 11265 del 17/11/1995).

Tra l’altro, in materia di responsabilità colposa, va ricordato il consolidatissimo e condivisibile insegnamento della Suprema Corte, secondo cui “nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l’aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell’obbligo della contestazione suppletiva di cui all’art. 516 c.p.p. e dell’eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell’art. 521” (cfr., ex plurimis, CASS. Sez. I, 15/2/1997 n. 11538).

Va quindi affermata la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascrittogli.
Quanto ai profili connessi al trattamento sanzionatorio l’unico elemento valutabile a favore dell’imputato è la sua incensuratezza che induce a concedergli le attenuanti generiche da ritenersi equivalenti all’aggravante dell’aver commesso il fatto con violazione di norme sulla circolazione stradale, contestata (seppur senza richiamo normativo) nel fatto di cui all’imputazione.
Per il resto, non può sottovalutarsi la particolare gravità della colpa dell’imputato che, quale conducente di un mezzo veloce, ha posto in essere una condotta di guida criminale, denotante il disinteresse per il pericolo di danno ad altri, tanto da provocare un incidente devastante in cui il povero YYYYY - “colpevole” solo di essersi trovato per strada, alla guida della sua modesta autovettura, al passaggio del XXXXXX - è stato travolto, mentre cercava di far rientro a casa, ed ha trovato, invece, una prematura morte. Condotta criminale rispetto alla quale l’imputato non ha mostrato alcun segno di resipiscenza.

Valutati i parametri di cui all’art. 133 c.p. stimasi equa irrogare la pena di anni uno e mesi sei di reclusione.
Sussistono le condizioni per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Segue, per legge, la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.
A norma del 2° comma dell’art. 222 D.L.vo 30 aprile 1992 n. 285 va disposta nei confronti dell’imputato la sospensione della patente di guida per la durata, ritenuta congrua, di anni uno.
L’imputato va, infine, condannato al risarcimento dei danni in favore delle parte civile, da liquidarsi in separata sede, e al rimborso delle spese processuali sostenute dalla stessa parte civile, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI FERMO

Visti gli artt. 533,535 c.p.p. dichiara XXXXX colpevole del reato ascrittogli e in concorso di attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante lo condanna alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione e al pagamento delle spese processuali.
Pena sospesa.
Dispone la sospensione della patente di guida del XXXXX per la durata di anni uno.
Condanna l’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile da liquidarsi in separata sede e al rimborso delle spese di costituzione ed assistenza dalla stessa parte civile sostenute, che liquida in £. 2.340.000 di cui £. 40.000 per spese vive.

Fermo, il 27 marzo 2001

                                                                                            IL GIUDICE